1968 ITALDESIGN BIZZARRINI MANTA

Photo Credit: ArchivioPrototipi.it

Carrozzeria a cuneo monovolume con parabrezza a due sezioni, un insolito colore turchese ed cabina di guida a tripla seduta con il conducente situato al centro: al Salone di Torino del 1968 la concept car presentata dalla Italdesign creò un certo scalpore. Il suo nome era “Bizzarrini Manta”.

Nel luglio del 1968 i primi bozzetti della Bizzarrini Manta, non assomigliavano per niente molto ad un'auto finita, ma l'elemento principale di sagomatura è già presente: una sagoma a cuneo di un solo volume.

In quel momento la Manta è simile ad un'auto normale, con vetri laterali discendenti, deflettori di ventilazione ed una buona vista posteriore.

Ad agosto dello stesso anno la vettura venne quasi completamente stravolta: la parte anteriore venne completamente rielaborata, i finestrini laterali divennero fissi e la coda divenne piatta e tronca. L’interno ricevette un layout insolito, l’autista al centro ed i passeggeri ai lati.

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Giorgetto Giugiaro anni dopo la spiegò così: “Prendendo come base la forma unidimensionale più semplice, ho raggiunto un risultato interessante, negli anni ’60 i progettisti di macchine a motore centrale cercavano di bilanciare il loro aspetto con un rilievo visivo, io, al contrario, permisi al motore di prendere tutto lo spazio disponibile.”

La concept car è basata sulla barchetta Bizzarrini P538. Un telaio tubolare, i pannelli frontali, le porte e il tetto erano in alluminio e la parte posteriore, che è un cofano incernierato sul vano motore, era realizzata in acciaio per garantire rigidità, sospensioni indipendenti ed un motore posizionato dietro i sedili: l'otto cilindri a V della Chevrolet Corvette.

La silhouette è delineata con una sola linea, la cui levigatezza è disturbata solo dalla coda rivolta verso l'alto dello spoiler. Il layout è determinato dal telaio “corsaiolo” di partenza, la posizione centrale del propulsore e l’assetto molto basso.

Ma anche le sue proporzioni erano molto insolite: la lunghezza dal muso alla coda era di 4100 mm, l'altezza era di 1050 mm, ma impressionava la larghezza (1855 mm). Inoltre, la linea ideale che partiva dal muso fino al parabrezza aveva una inclinazione di soli 15 gradi In una parola: un cuneo perfetto.

Il problema maggiore era la visibilità, gravemente compromessa dall’inclinazione, ma Giugiaro riuscì a trovare una soluzione davvero geniale: sotto il vetro principale ne inserì un altro, quasi verticale e aprendo tre strette "feritoie" sul cofano, coperte dal colore della carrozzeria, ma ad altezza degli occhi del guidatore. (Lo si può notare bene nella vista laterale considerando il punto più alto della corona dello sterzo).

Un particolare curioso è che la Manta, almeno fino a metà degli anni ’70 è stata un’auto completa, ma non del tutto funzionante. Il fatto è che la costruzione fu effettuata in soli 40 giorni.

Fu costruita una matrice in legno del corpo, furono modellati i pannelli, saldato il telaio, dipinta ed infine, assemblata. Il tutto in un tempo decisamente breve, considerando che tutto veniva fatto manualmente.

In questi 40 giorni di lavoro incessante, che Giugiaro definì infernale, per distrazione o per stanchezza non fu effettuato il debug della centralina elettrica, né il controllo della maggior parte dei sistemi meccanici.
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Il nome Manta venne preso in prestito dal gigantesco pesce oceanico, un'ulteriore somiglianza con la concept era data dagli "zigomi" inclinati del frontale e dalle "branchie" di ventilazione sul cofano del vano motore, dieci aperture su ciascun lato colorate di arancio per aumentare l'effetto in contrasto con il colore turchese dell'auto.

Ma perché turchese? Innanzitutto negli anni '60 era un colore molto insolito per un’auto ed essendo “un’opera prima” bisognava che si notasse e poi, naturalmente, il turchese ricordava l’acqua, l’elemento più vicino all’habitat della sua ispirazione.

Ma Giugiaro non era soddisfatto del risultato: una livrea rossa con strisce bianche e nere lungo tutto il corpo gli sembrava più adatta al tipo di auto ed infatti, per una fiera a Tokyo l’auto prese quella colorazione. Ma non durò molto.

Nell'estate del 1969, la Bizzarrini fallì e la fabbrica venne chiusa, le auto e le attrezzature vennero vendute per coprire i debiti. Il fallimento della Bizzarrini colpì anche Giugiaro: quando la macchina arrivò al Salone dell'auto di Los Angeles, c'erano gli ufficiali giudiziari che lo aspettavano con un ordine di confisca!

L'auto fu ammessa alla mostra, ma immediatamente dopo passò nelle mani delle autorità americane. La ItalDesign non poté ricomprare l’auto e questa venne venduta ad una asta doganale.

Verso la metà degli anni settanta l’auto fu acquistata da un collezionista privato italiano ad un'asta e trasformata in un'auto completamente funzionale.

Nei primi anni ’80 l’auto finì in Svezia, proprietà di un residente a Stoccolma, che, dopo averla dipinta di verde, apportò anche delle modifiche ripetto alla configurazione iniziale.

Nel 1988, in occasione del ventesimo anniversario della ItalDesign l’auto venne dipinta con il colore argento "aziendale" ed il design fu nuovamente modificato.

Solo nei primi anni 2000, il successivo proprietario decise di effettuare un costoso restauro su larga scala, che restituì l'aspetto ed il colore originale alla vettura.

La cosa sorprendente è che la macchina non è ancora di proprietà dell’ItalDesign, sebbene nel corso degli anni ci siano state diverse opportunità per farlo. E se nel caso di un mancato acquisto dalla dogana tutto è chiaro, allora perché all’asta del 2012 di Gooding l’auto rimase senza offerte?

Fonte: ArchivioPrototipi.it
Image Credit: ArchivioPrototipi.it - Italdesign
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